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La scomoda verità dietro il post dello chef Cappuccio, che non vuole “fancazzisti, gay e comunisti” in cucina

La scomoda verità dietro il post dello chef Cappuccio, che non vuole “fancazzisti, gay e comunisti” in cucina

Che l’Italia non sia nuova a discriminazioni sul lavoro, è un dato di fatto. Lo ha dimostrato ancora una volta lo chef stellato Paolo Cappuccio quando, martedì 8 luglio, ha condiviso sulla sua pagina Facebook un annuncio rivolto a cuochi “non comunisti e senza problemi di orientamento sessuale”. Secondo statistiche a noi sconosciute – allo chef è bastata la regola aurea della propria esperienza, senza alcun dato a supporto – sarebbero queste due “categorie” umane a propendere per lassismo e assenteismo sul luogo di lavoro. Persone inaffidabili, in poche parole, a cui Cappuccio ha deciso di non concedere più spazio.

Alcune statistiche, questa volta rintracciabili – che lo chef ha involontariamente contribuito a rimpolpare con la sua recente offerta – raccontano però un’altra storia. Cioè di una forte componente discriminatoria, in Italia, verso la comunità LGBTQ+ nel mondo del lavoro. Lontano dall’aneddoto social e dai toni folcloristici, il problema è strutturale. E chi lavora, lo sa.

Il prezzo del coming out

Una ricerca condotta su 1.200 maggiorenni nel 2023 dall’Istat insieme all’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali ha indagato gli effetti del coming out e dell’orientamento sessuale su carriera, crescita professionale e reddito. Quasi 4 intervistati su 10 hanno dichiarato di essere stati penalizzati per il proprio orientamento sessuale (omo o bisessuale) in almeno uno di questi ambiti.

A questo dato si affianca un altro significativo elemento: circa 3 persone su 10 avrebbero subito aggressioni sul posto di lavoro o denigrazioni online, sempre a causa dell’orientamento sessuale.

Su cosa ci giudicano (e discriminano) i colleghi? Una ricerca svela i nostri pregiudizi
Identità di genere e lavoro: un divario enorme

La situazione si fa ancora più allarmante se si guarda alle persone trans e non-binarie, con cifre da capogiro. Oltre 8 su 10 hanno subito almeno una micro-aggressione sul lavoro (sguardi, battute, esclusioni), e quasi il 60% segnala di aver patito uno svantaggio concreto nella propria vita professionale.

BRAZIL PRIDE DAY
Nella Rainbow Map europea di ILGA-Europe (International Lesbian and Gay Association) e Gay.it l’Italia è al 35esimo posto
Rainbow Map 2025: l’Italia resta indietro

Ma apriamo l’orizzonte con la Rainbow Map europea, realizzata da ILGA-Europe (International Lesbian and Gay Association) insieme a Gay.it, aggiornata a maggio 2025: l’Italia si piazza al 35esimo posto. Un risultato peggiore rispetto all’anno precedente, con un punteggio di 24,41%.

Come si costruisce il punteggio? Alcuni ambiti sono cruciali: uguaglianza e non discriminazione appena all’8%, diritti familiari poco sopra il 17%, crimini d’odio e hate speech un tondo 0%. Nulla. Perché nulla appare, rispetto a questi dati, l’efficacia normativa di tutela. In un contesto europeo in cui avanzano diritti e garanzie, l’Italia arretra. Non solo nelle dichiarazioni di uno chef, ma nei numeri, nelle leggi, nelle strategie che non trovano attuazione. La mancanza di consapevolezza e di risorse concrete sono le disuguaglianze più profonde, quelle che rischiano di rendere l’esclusione una regola accettata.

Dalla legge alla prassi: il grande scarto

Eppure, gli attuali ordinamenti italiani ed europei prevedono tutele – seppur, come si evince dai dati, spesso inefficaci nella pratica – contro le discriminazioni nel mondo del lavoro. Il Codice delle pari opportunità, modificato nel 2008, insieme allo Statuto dei lavoratori (secondo alcune interpretazioni estensive dell’articolo 15) e, soprattutto, l’articolo 3 della Costituzione dovrebbero offrire una difesa in questa direzione.

A livello europeo, la Direttiva 2000/78/CE – recepita in Italia nel 2003 – stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro. Il DDL Zan, affossato in Senato nel 2021, mirava a rafforzare e rendere più esplicite queste tutele, introducendo il concetto di omotransfobia tra i reati d’odio, anche in ambito lavorativo.

Il confronto con il resto d’Europa è desolante.Basti pensare che appena un anno fa, nel maggio 2024, l’Italia – insieme a Paesi come Ungheria, Romania e Bulgaria – non ha firmato la dichiarazione UE per promuovere politiche LGBTQ+. Nel nostro Paese, insomma, ci si muove a singhiozzo: tra ambiguità, arretratezza e difficoltà a riconoscere tutele e diritti.

L’assenza vera

Forse, allora, l’assenteismo a cui si riferiva Cappuccio andrebbe analizzato proprio alla luce di questi dati. In controluce, anzi, sperando di non rimanere accecati dall’ovvietà: l’assenza vera è quella di maggiori diritti e tutele. O quantomeno della loro corretta applicazione.

Luce

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